Micro e nanotecnologie
NANOTECNOLOGIE
PoliMI: realizzati nano-circuiti magnetici che consentiranno lo sviluppo di nuovi sistemi più veloci, flessibili e compatti di elaborazione dell’informazione nei processori del futuro
24.10.2018
Testo dell’articolo
Questo risultato, descritto su Communications Physics nell’articolo Nanoscale spin-wave circuits based on engineered reconfigurable spin-textures, permetterà di sviluppare nuovi sistemi più veloci, flessibili e compatti di elaborazione dell’informazione nei futuri processori.
Il lavoro è stato coordinato dal Dipartimento di Fisica nell’ambito del progetto SWING (Patterning Spin-Wave reconfIgurable Nanodevices for loGics and computing) ed è frutto di una collaborazione con ricercatori del CUNY-ASRC (New York), CNR-IOM (Perugia) e Paul Scherrer Insititute (Villigen, Zurigo).
Image credit: Communication Physics (2018) DOI: 10.1038/s41467-018-05235-z
Le onde di spin sono l’analogo delle onde elettromagnetiche o acustiche nel campo del magnetismo. In un ferromagnete, ad esempio una comune calamita, gli spin, cioè i momenti magnetici dei singoli elettroni che compongono il materiale sono allineati in una direzione. Un materiale ferromagnetico è una sorta di mare di spin. Se in esso gettiamo l’equivalente magnetico di una pietra, si generano delle perturbazioni dell’orientazione degli spin che si propagano come le onde nel mare. Queste perturbazioni sono chiamate onde di spin.
Esse potranno essere utilizzate nei processori del futuro, per manipolare l’informazione in maniera veloce ed energeticamente efficiente, in modo analogo all’ottica integrata, con la differenza che le onde di spin possono avere lunghezze d’onda inferiori a quelle della luce visibile e quindi permettere una più spinta miniaturizzazione.
Fino ad ora però, realizzare circuiti logici in cui controllare le onde di spin con una precisione del nm (un miliardesimo di metro), era molto difficile. I ricercatori del Politecnico di Milano sono però riusciti a risolvere questo problema grazie alla tecnica tam-SPL con cui sono in grado di scrivere, cancellare e riscrivere a piacimento una configurazione di spin in un ferromagnete con la scansione di una “penna ultrasottile” (la punta di un microscopio a forza atomica). Questo ha permesso di realizzare per la prima volta guide d’onda nanometriche in cui le onde di spin posso viaggiare, curvare e interagire tra di loro, compiendo un significativo passo in avanti nello sviluppo di nuove piattaforme per i nostri computer o smartphone del futuro.
Testo redatto su fonte Politecnico di Milano del 10 ottobre 2018
Per approfondimenti: Nanoscale spin-wave circuits based on engineered reconfigurable spin-textures, DOI: 10.1038/s41467-018-05235-z – Communications Physics | 20.09.2018
Image credit: Novel Patterning Technologies (2018), DOI: 10.1117/12.2301253
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MICROTECNOLOGIE
SiMoT, una tecnologia basata su un dispositivo bio-elettronico, è in grado di rivelare una singola molecola di proteina, un risultato che potrebbe rivoluzionare la diagnostica medica
11.09.2018
Testo dell’articolo
Pubblicato su Nature Communications nell’articolo Single-molecule detection with a millimetre-sized transistor, lo studio è il frutto di una collaborazione fra l’Istituto di Fotonica e Nanotecnologie del Consiglio Nazionale delle Ricerche (INF-CNR), l’Università degli studi di Bari “Aldo Moro” (Uniba), l’Università di Brescia (Unibs) e il Consorzio Interuniversitario per lo Sviluppo dei Sistemi a Grande Interfase (Center for Colloid and Surface Science – CSGI).
Image credit: Eleonora Macchia/Uniba
La prima evidenza sperimentale della misura di concentrazioni bassissime di proteine fino al limite record di una singola molecola è stata possibile usando un transistor di dimensioni millimetriche.
SiMoT si basa su strati auto-assemblati e bio-funzionalizzati di spessore nanometrico, inglobati in dispositivi di grande area compatibili con lo sviluppo di prototipi di facile uso anche fuori dai laboratori di ricerca. La sensibilità della tecnologia, in grado rivelare un singolo bio-marcatore, è talmente elevata da non poter essere migliorata oltre; si tratta, pertanto, di un record mondiale assoluto.
Questo risultato è stato raggiunto grazie all’enorme amplificazione del segnale ottenuta integrando nel transistor bio-elettronico un film che simula la membrana cellulare. L’intuizione è arrivata osservando che alcune cellule, attraverso la propria membrana, sono in grado di riconoscere singole proteine come i ferormoni. In termini tecnici si può inoltre affermare che la rivelazione SiMoT è selettiva in quanto vede solo il bio-marcatore specifico di interesse, ed è label-free poiché diretta e non mediata da altre molecole. Inoltre, è una piattaforma generale che può essere facilmente adattata alla rivelazione di uno specifico bio-marcatore, per esempio un antigene. Per farlo, è sufficiente integrare nel dispositivo l’anticorpo che riconosce l’antigene di interesse.
La medicina di precisione ha bisogno di strumenti sempre più sensibili e performanti che consentano di applicare le tecnologie più avanzate nella pratica clinica quotidiana: la digitalizzazione dell’analisi dei bio-marcatori che li quantifica a livello della singola molecola è la nuova frontiera. La tecnologia SiMoT promette quindi di essere un prezioso strumento che consentirà ai clinici di associare il più piccolo aumento di un determinato bio-marcatore, alla progressione della patologia. Forse sarà addirittura possibile identificare il momento preciso in cui un organismo passa dall’essere sano al divenire malato aumentando enormemente la capacità di curare le patologie attraverso metodi di trattamento tempestivi, specifici e mirati.
L’elevatissima sensibilità di SiMoT potrà essere utile anche per tenere sotto controllo le recidive, per esempio dopo l’asportazione di un tumore; ma anche per limitare l’uso di procedure invasive come le biopsie permettendo la rilevazione di marcatori in fluidi biologici facilmente accessibili come il sangue, l’urina o anche la saliva nei quali i marcatori sono presenti a concentrazioni bassissime.
Secondo i ricercatori dello studio, la tecnologia SiMoT promette ricadute strategiche di grande rilevanza per il futuro della diagnostica medica, poiché le dimensioni e la struttura del dispositivo ne consentono la produzione su vasta scala a costi contenuti. Il dispositivo è robusto ed affidabile, e pertanto facilmente impiegabile anche fuori dal laboratorio.
Si prevede che SiMoT possa contribuire al miglioramento della qualità della vita e della longevità delle generazioni a venire contribuendo, al contempo, alla riduzione della spesa sanitaria.
Testo redatto su fonte Università di Bari del 6 settembre 2018
Per approfondimenti: Single-molecule detection with a millimetre-sized transistor, DOI: 10.1038/s41467-018-05235-z – Nature Communications | 13.08.2018
Image credit: Econous Systems Inc.
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BIONANOTECNOLOGIE
Realizzati dispositivi ingegnerizzati e stampati in 3D sulla base di un algoritmo matematico sviluppato per riprodurre in modo accurato la struttura ramificata del tubulo renale
06.07.2018
Testo dell’articolo
Un team di ricercatori dell’Università di Genova e dell’Istituto Mario Negri di Bergamo ha svolto un’importante ricerca riguardante un nuovo metodo di coltura cellulare che utilizza nuovi dispositivi 3D ingegnerizzati e costruiti con stampante 3D sulla base di un algoritmo matematico sviluppato per riprodurre accuratamente la struttura ramificata del tubulo renale. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista EBioMedicine nell’articolo “Engineered Kidney Tubules for Modeling Patient-Specific Diseases and Drug Discovery“.
Un team interdisciplinare di ricercatori ha sviluppato un nuovo metodo di coltura cellulare in tre dimensioni, che consente di ingegnerizzare tubuli renali umani da cellule di paziente in modo controllato, rapido e riproducibile per ottenere modelli di malattia e di sviluppo del rene e testare nuovi farmaci. Il valore introdotto nel campo dei modelli sperimentali in vitro consiste nell’essere riusciti per la prima volta a realizzare un metodo riproducibile per ricreare tubuli del dotto collettore umani con forme, dimensioni e composizioni predefinite e controllabili. Prima di questo lavoro, infatti, le tecniche di coltura rendevano possibile ottenere artificialmente tessuti renali ma presentavano importanti limiti dovuti all’incapacità di riprodurre fedelmente le complesse strutture del rene, ai lunghi tempi necessari per la crescita in vitro e alla bassa riproducibilità. Uno degli obiettivi primari della ricerca svolta è stato superare questi limiti e, attraverso un approccio interdisciplinare, si è riusciti a sviluppare un metodo altamente riproducibile e semplice, che riduce significativamente tempi e costi, per generare in modo controllato tubuli renali complessi partendo da singole cellule.
Con una stampante 3D sono stati realizzati nuovi dispositivi (scaffold) in materiale biocompatibile che, grazie ad un algoritmo ideato dai ricercatori dello studio, ricreano le geometrie frattali proprie dell’anatomia dei tubuli del dotto collettore dei reni. Usando questi scaffold 3D bio-mimetici, è stato possibile “direzionare” la formazione dei tessuti renali con caratteristiche molto simili all’organo in vivo. Il design e le proprietà dei materiali che hanno sviluppato hanno inoltre consentito ai ricercatori dell’Istituto Mario Negri di poter facilmente recuperare i tessuti generati in vitro, senza alterarne la struttura e la funzionalità, per successive sperimentazioni cliniche e farmacologiche.
I ricercatori dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri sono stati in grado di crescere tubuli renali funzionali usando questi scaffold 3D bio-mimetici, riuscendo, per la prima volta nel contesto della nefrologia sperimentale, a ricreare in laboratorio modelli di malattia renale policistica partendo da cellule di paziente e testare nuovi potenziali farmaci per la sua cura, oltre a generare modelli in vitro utili per lo studio dello sviluppo dei reni. Questo lavoro apre la strada a una ricerca più avanzata nel campo delle nanotecnologie applicate alla medicina, un importante passo verso modelli più affidabili di malattia e sviluppo dei reni, e pone basi importanti per ingegnerizzare tessuti renali anatomicamente corretti in vitro.
Testo redatto su fonte Università di Genova del 4 luglio 2018
Per approfondimenti: Engineered Kidney Tubules for Modeling Patient-Specific Diseases and Drug Discovery, DOI: 10.1016/j.ebiom.2018.06.005 – EBioMedicine | 03.07.2018
Images credit: EBioMedicine (2018), DOI: 10.1016/j.ebiom.2018.06.005
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NANOTECNOLOGIE
Un progetto del Politecnico di Milano si propone di realizzare circuiti magnetici miniaturizzati controllando le configurazioni di spin in un film di materiale magnetico
19.10.2017
Testo dell’articolo
Coordinato dal Politecnico di Milano, SWING utilizza “tam-SPL”, una innovativa tecnica sviluppata presso il Dipartimento di Fisica del Politecnico per controllare le configurazioni di spin in un film di materiale magnetico, al fine di realizzare circuiti magnetici miniaturizzati da impiegare per elaborare l’informazione nei dispositivi elettronici.
Nei magneti permanenti, composti di materiale ferromagnetico, i momenti magnetici degli elettroni, cioè gli spin, sono prevalentemente allineati in una direzione, concorrendo così a creare la forza macroscopica che li tiene attaccati alle superfici metalliche. Gli spin elettronici non sono fissi, interagiscono infatti con l’ambiente circostante e reagiscono a stimoli esterni riorientandosi. Ciò fornisce la possibilità di manipolare la configurazione di spin all’interno di un materiale. I ricercatori del gruppo di nanomagnetismo del Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano utilizzano la tecnica “tam-SPL” e con la scansione di una “penna ultrasottile” (la punta di un microscopio a forza atomica) su una sorta di “lavagna magnetica”, sono in grado di scrivere, cancellare e riscrivere a piacimento una configurazione di spin. Il tutto con una precisione spaziale migliaia di volte superiore allo spessore di un capello. Un materiale ferromagnetico è una sorta di “mare di spin”.
Se in questo mare si “getta” l’equivalente magnetico di una pietra, si generano delle perturbazioni dell’orientazione dello spin che si propagano come le onde nel mare. Esse prendono il nome di onde di spin, ed il loro uso potrebbe rivoluzionare la modalità di processare l’informazione in nuovi chips da usare in computer o smartphone. La prospettiva è quella di realizzare circuiti entro i quali confinare la propagazione delle onde di spin, controllarne le proprietà e permetterne l’interazione. Tutto ciò in modo molto simile all’ottica integrata, con la differenza che le onde di spin possono avere lunghezze d’onda inferiori a quelle della luce visibile e quindi permettere una più spinta miniaturizzazione.
Testo redatto su fonte Politecnico di Milano del 17 ottobre 2017
Per approfondimenti: Nanopatterning reconfigurable magnetic landscapes via thermally assisted scanning probe lithography, DOI: 10.1038/nnano.2016.25 – Nature Nanotechnology | 07.03.2016
Image credit: Macmillan Publishers Limited/Nature Nanotechnology DOI: 10.1038/nnano.2016.25
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NANOTECNOLOGIE
CNR: realizzati nanoSQUIDs, dispositivi nanometrici che, in grado di misurare campi magnetici elementari, trovano molte e utili applicazioni nel campo delle nanoscienze
22.01.2016
Testo dell’articolo
Nell’articolo “Nano Superconducting Quantum Interference device: A powerful tool for nanoscale investigations” pubblicato su Physics Reports, un team di ricercatori dell’Istituto di Scienze Applicate e Sistemi Intelligenti del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISASI-CNR), all’avanguardia nella realizzazione di nanoSQUIDs, descrive le motivazioni, gli aspetti teorici, le tecniche di realizzazione delle varie tipologie di questi dispositivi e le loro applicazioni a scala nanometrica.
I nanoSQUIDs basano il loro funzionamento su fenomeni della Fisica Quantistici, come la superconduttività (che può essere considerata la manifestazione più eclatante degli effetti quantistici a livello macroscopico) e l’effetto tunnel (secondo il quale una particella può attraversare una barriera energetica pur non avendone l’energia necessaria). Su tale effetto basano il loro funzionamento anche molti dispositivi elettronici di uso comune. La straordinaria sensibilità dei nanoSQUIDs, limitata solo dai principi di base della Meccanica Quantistica, consente di misurare un flusso magnetico un milione di volte più piccolo di quello prodotto dal campo magnetico terrestre in un globulo rosso. Tale sensibilità unita alle dimensione nanometriche (poche decine di nm), consentono ai nanoSQUIDs di misurare il magnetismo della materia a livello del singolo atomo o piccole aggregazioni di essi.
Tipicamente i nanoSQUIDs sono costituiti da un anello superconduttore submicrometrico dotato di due costrizioni nanometriche. Quelli progettati e realizzati presso ISASI-CNR presentano una struttura più complessa basata su nano-giunzioni tunnel tridimensionali realizzate su un sandwich nanometrico di due superconduttori separati da uno sottilissimo strato di materiale isolante (1 nm) che si traduce in una maggiore sensibilità e affidabilità del dispositivo. In questo modo è stato possibile ottenere nanosensori capaci di misurare localmente campi magnetici così piccoli da poter apprezzare addirittura quello prodotto dai singoli elettroni. Oltre ad essere un potente strumento d’indagine dei singoli nano-oggetti magnetici, i nanoSQUIDs sono di enorme interesse anche per altre stimolanti applicazioni quali la Computazione Quantistica, la rivelazione di singolo fotone, la Nanoelettronica nonché per alcune tematiche chiave della Scienza dei Materiali e la Fisica dello Stato Solido. Anche nel campo della Biomedicina, i nanosensori rappresentano un prezioso strumento poiché sono capaci di misurare il campo magnetico associato all’attività elettrica del singolo neurone.
Testo redatto su fonte CNR del 12 gennaio 2016
Per approfondimenti: Nano Superconducting Quantum Interference device: A powerful tool for nanoscale investigations, DOI: 10.1016/j.physrep.2015.12.001 – Physics Reports | 12.12.2015
Image credit: Laboratoire de magnétisme Louis-Neel, Grenoble, CNRS – UPR5051, et le Centre d’Élaboration de Matériaux et d’Études Structurales (CEMES), Toulouse, CNRS – UPR8011
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RIVELATORI DI RADIAZIONE
Realizzato un dispositivo, basato su multistrati di fosforene, in grado di rivelare radiazione a frequenza Terahertz a temperatura ambiente e con bassi livelli di rumore
22.10.2015
Testo dell’articolo
L’elemento principale del dispositivo è un nanosensore costituito da un fiocco di fosforene esfoliato spesso 10 nm (milionesimi di mm) montato in un chip ottico di pochi cm. Il sensore, che durante la sperimentazione ha mostrato prestazioni confrontabili con le tecnologie commerciali di ultima generazione, possiede qualità ottiche e elettriche molto versatili che permettono di ottimizzare la progettazione di simili dispositivi in base alle esigenze di applicazioni mirate, candidandosi ad avere un impatto davvero innovativo sulla fotonica e l’elettronica.
La caratteristica peculiare del grafene è la sua capacità di condurre sempre elettricità, poiché essendo privo della “banda energetica proibita”, tipica dei semiconduttori, tutti i livelli di energia sono accessibili agli elettroni. Questa estrema conducibilità però diventa un limite pratico in molti dispositivi optoelettronici. Al contrario, il fosforene, che ha una banda energetica proibita ben definita, può condurre elettricità solo quando gli elettroni assorbono abbastanza energia (attraverso calore, luce ed altri mezzi). Questa proprietà offre un maggiore livello di controllo sul comportamento elettrico del materiale, che può quindi essere facilmente attivato o disattivato.
L’importanza di questa ricerca risiede nel fatto che i rivelatori di radiazione Terahertz sono alla base di una tecnologia che può avere interessanti applicazioni in numerosi campi: dal biomedicale al farmacologico, dalla sicurezza (ad esempio i body-scanner negli aeroporti) alla rilevazione di narcotici, esplosivi e gas tossici.
Testo redatto su fonte CNR del 22 ottobre 2015
Per approfondimenti: Black Phosphorus Terahertz Photodetectors – Advanced Materials | 13.08.2015
Image credit: Advanced Materials (2015) DOI: 10.1002/adma.201502052
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NANOTECNOLOGIE
Nasce Polifab, la facility per le micro e nano-fabbricazioni, realizzata a supporto delle attività di progettazione e caratterizzazione di materiali, dispositivi e microsistemi
09.07.2015
Testo dell’articolo
Grazie alle macchine e alle strumentazioni di cui è dotato, il centro è in grado di condurre ricerca di frontiera, offrendo le principali tecnologie necessarie per la realizzazione di microlavorazioni, di prototipi di microsistemi, per il loro assemblaggio e incapsulamento fino alla funzionalizzazione biochimica delle superfici. Le applicazioni che saranno sviluppate riguarderanno biosensori per la diagnostica medica, chip microfluidici per studi biologici, sensori e memorie magnetiche, dispositivi per la nanoelettronica, fotonica integrata e componenti per il fotovoltaico.
Nella Polifab si trova una cleanroom di 370 mq dotata di strumentazione per la fabbricazione su wafer fino a 6” di dispositivi, mediante crescita di film sottili, litografia (ottica ed elettronica), attacco selettivo e caratterizzazione metrologica. La facility comprende anche un cluster di laboratori che operano nei campi della fotonica integrata, del fotovoltaico, della biosensoristica, della spintronica, dell’elettronica organica e della strumentazione elettronica integrata.
Testo redatto su fonte Politecnico di Milano del 3 luglio 2015
Per approfondimenti su Polifab: www.polifab.polimi.it
Image credit: PoliMI/Polifab
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CIRCUITI CALORITRONICI
Un dispositivo in grado far fluire le correnti di calore in una sola direzione apre la strada a potenziali circuiti elettronici alimentati dal calore anziché dalla corrente elettrica
07.04.2015
Testo dell’articolo
Ora un simile effetto è stato ottenuto, a basse temperature, in un dispositivo basato su metalli e superconduttori, nei laboratori NEST (National Enterprise for nanoScience and nanotechnology) di CNR-Nano e SNS. “A temperature prossime allo zero assoluto, circa -273°C, il calore è trasmesso principalmente dagli elettroni anziché dalle vibrazioni del reticolo cristallino e quindi ‘governando’ gli elettroni si può controllare il flusso di calore”, spiega Giazotto. “È quanto siamo riusciti a fare nel nostro circuito, in cui le correnti di calore scorrono preferenzialmente in un verso, ottenendo così un diodo termico, così chiamato in analogia al diodo elettrico dove la corrente viaggia ‘a senso unico’”.
Il cuore del diodo è composto da un elettrodo di materiale superconduttore combinato con un metallo che agisce come ‘via di fuga’ termica. “A temperature criogeniche, il dispositivo trasmette calore quando una delle sue estremità viene scaldata, mentre disperde la maggior parte dell’energia termica attraverso la via di fuga quando è scaldato l’estremo opposto”, continua il ricercatore di CNR-Nano. “Le misure mostrano che la corrente in un senso è 100 volte superiore a quella che fluisce in senso opposto: un’efficienza elevata, considerato che fino ad oggi il valore massimo era circa 1.4, ottenuto in sistemi di altro tipo a temperature maggiori”.
Il risultato si aggiunge ai precedenti ottenuti dal gruppo di ‘Caloritronica coerente’ guidato da Giazotto, che conclude: “Il diodo termico è il primo mattone per creare circuiti caloritronici, l’equivalente termico dei circuiti logici elettronici, in cui l’informazione viene scambiata attraverso trasferimenti di calore invece che da segnali elettrici”.
Testo redatto su fonte CNR del 3 aprile 2015
Per approfondimenti: Rectification of electronic heat current by a hybrid thermal diode, DOI: 10.1038/nnano.2015.11 – Nature Nanotechnology | 23.02.2015
Image credit: CNR-Nano
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NANOELETTRONICA
Ricercatori italo-statunitensi realizzano il primo transistor in silicene, un materiale bidimensionale che promette soluzioni innovative per i dispositivi nanoelettronici
15.02.2015
Testo dell’articolo
Come spiega Molle, “il silicene è un materiale bidimensionale basato su atomi di silicio che non esiste in natura. L’attrattiva verso questo matriale è cresciuta esponenzialmente per la possibilità di integrarlo in dispositivi nanoelettronici con una miniaturizzazione estrema e per un vantaggio unico rispetto agli altri materiali bidimensionali, come il grafene: l’innata compatibilità con l’elettronica convenzionale basata su silicio. Tuttavia, la complessità del silicene e la gestione del supporto metallico finora avevano rappresentato un ostacolo insormontabile per concretizzare l’integrazione dello strato monoatomico di silicene in dispositivi”.
Nell’ambito del progetto europeo 2D-Nanolattices e del finanziamento ‘Laboratori congiunti’ del CNR, il gruppo di ricerca italo-americano è riuscito nell’obiettivo. “Uno snodo critico è stato l’estrazione del silicene dal suo supporto e il suo trasferimento su una piattaforma compatibile con un dispositivo”, prosegue il ricercatore dell’IMM-CNR. “Questo processo è avvenuto in due stadi: prima il silicene è stato coperto con un ossido protettivo (allumina) e poi è stata estratta una lamina di silicene ‘impacchettato’ fra l’allumina da una parte e uno strato ultrasottile di argento dall’altra. Questa sorta di ‘panino’ è stato poi capovolto su una base di ossido di silicio, lasciando l’argento solo in due zone di contatto selezionate che hanno agito da elettrodi. Al termine di questo processo, il silicene ha funzionato come ‘canale’ per il trasporto di carica di un transistore ad effetto campo, è quindi un conduttore di elettricità”.
Successivamente alla creazione del primo foglio di silicene, avvenuta grazie a una collaborazione tra Istituto di Struttura della Materia del CNR (ISM-CNR), CNRS francese e Università di Berlino, dopo diverso tempo dalla sua previsione teorica, è stato compiuto un passo avanti nella conferma delle potenzialità di questo materiale. Secondo Molle “nonostante dopo qualche minuto di esposizione il silicio sia degradato in aria, per la prima volta abbiamo dimostrato l’evidenza elettrica del silicene e questo apre a soluzioni nanotecnologiche sempre più sofisticate, quali dispositivi digitali sempre più sottili e veloci”.
Testo redatto su fonte CNR del 12 febbraio 2015
Per approfondimenti: Silicene field-effect transistors operating at room temperature – Nature Nanotechology | 02.02.2015
Progetto “2D-Nanolattices”: www.2dnanolattices.eu
Image credit: Nature Nanotechnology (2015) DOI: 10.1038/nnano.2014.325
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NANOMACCHINE
Uno studio teorico italo-svizzero basato su una simulazione chiarisce perchè il fullerene non è adatto alla funzione di nanocuscinetto per ridurre l’attrito alla nanoscala
05.10.2014
Testo dell’articolo
“Gli scienziati hanno pensato di usare il C60, una nanosfera cava di carbonio, di un nanometro di diametro”, spiega Erio Tosatti, professore della SISSA, un altro degli autori della ricerca, “ma c’è un problema: i risultati sperimentali sono in perfetto disaccordo”. Il C60 ha una temperatura (260° kelvin), in cui le molecole diventano improvvisamente libere di ruotare, con uno sperabile ruolo per l’attrito. I due esperimenti più importanti fatti finora però si contraddicono a vicenda: in un caso infatti sopra questa temperatura quando il materiale veniva fatto scivolare sopra un substrato non si è osservata nessuna diminuzione significativa dell’attrito, mentre nell’altro esperimento il calo è stato drammatico, ben del 100%. “Che cosa succede? Se assumiamo che le misurazioni siano corrette e gli esperimenti siano stati fatti a regola d’arte (e non abbiamo motivo di pensare che non sia cosi) come spieghiamo questa differenza?”, si chiede Vanossi. “Per questo abbiamo deciso di verificare”.
Il team (una collaborazione fra SISSA, Centro internazionale di Fisica Teorica “Abdus Salam” ICTP di Trieste, il Consiglio Nazionale delle Ricerche CNR italiano, e i Laboratori Federali di Scienza e Tecnologia dei Materiali svizzeri) ha condotto uno studio teorico basato sulla simulazione. “Abbiamo simulato la punta di un microscopio elettronico, sottilissima, sulla quale era posto un “flake” (fiocco) di C60 che veniva fatto scivolare su un substrato anch’esso composto da C60”, spiega Vanossi. “Abbiamo scoperto che quando il fiocco è fissato in modo da non poter ruotare l’attrito non diminuisce, anche quando alziamo la temperatura sopra i 260° K. È come se le sferette che compongono il fiocco si incastrassero nel substrato, niente effetto nano-cuscinetto. Quando però il fiocco è a sua volta libero di ruotare si osserva una diminuzione drastica dell’attrito e il grumo di materiale scivola via sulla superficie molto più facilmente”. Qui il calo di attrito però non è dovuto all’effetto cuscinetto, ma al cambiamento di geometria del contatto.
Le due condizioni riproducono dunque i risultati dei due esperimenti. “I nostri dati descrivono fedelmente le osservazioni empiriche”, conclude Tosatti. “Questo naturalmente non ci fa ben sperare sull’utilizzo futuro di questo materiale in dispositivi per ridurre l’attrito alla nanoscala, perché la funzione di nanocuscinetto non è confermata, ma getta finalmente una luce chiara sulla fisica di questo problema”.
Testo redatto su fonte SISSA del 3 ottobre 2014
Per approfondimenti: Does rotational melting make molecular crystal surfaces more slippery?, DOI: 10.1039/C4NR04641B – Nanoscale | 17.09.2014
Image credit: SISSA
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NANOELETTRONICA
Una ricerca italo-finlandese ha dimostrato che è possibile indurre l’auto-assemblaggio molecolare, senza stimoli esterni, passando dai nanometri ai millimetri
06.06.2014
Testo dell’articolo
“Abbiamo utilizzato una nuova interazione intermolecolare, il legame ad alogeno, scoperta presso il Dipartimento di Chimica del Politecnico di Milano, per assemblare reversibilmente un polimero con una molecola fluorurata in una sorta di Lego molecolare – spiega Pierangelo Metrangolo, uno degli autori dello studio per l’Ateneo milanese insieme a Giuseppe Resnati e a Valentina Dichiarante – L’aggregato supramolecolare che si viene così a formare si auto-organizza poi spontaneamente in una struttura lamellare nanometrica (10 nm) che sorprendentemente si estende per millimetri. Ciò ha consentito di “scrivere” su una larga superficie, ed in maniera molto precisa, una struttura a lamelle nanometriche attraverso un semplice processo “bottom-up” di auto-organizzazione molecolare che siamo stati in grado di indurre e guidare”.
L’auto-assemblaggio molecolare, concetto mutuato dalla Natura, porta all’organizzazione spontanea delle molecole in strutture sopramolecolari più complesse e funzionali. La ricetta è “codificata” nella struttura chimica stessa delle molecole auto-assemblanti. L’auto-assemblaggio molecolare è stato finora utilizzato per il “templating” (modellazione) di dispositivi funzionali, fili molecolari, elementi di memoria… ma solitamente richiede passaggi di lavorazione aggiuntivi per ottenere un allineamento esteso delle strutture. Ora si è scoperto che, ingegnerizzando elementi di riconoscimento intermolecolare tra polimeri e piccole molecole fluorurate, è possibile promuoverne lo spontaneo assemblaggio da nm a mm, grazie a un attento utilizzo delle interazioni non covalenti. Dopo la lavorazione, si può scegliere di rimuovere le molecole fluorurate mediante trattamento termico, mantenendo però la nanostruttura del polimero.
Testo redatto su fonte Politecnico di Milano del 5 giugno 2014
Per approfondimenti: Halogen-bonded mesogens direct polymer self-assemblies up to millimetre length scale – Nature Communications | 04.06.2014
Image credit: Nature Communications (2014) DOI: 10.1038/ncomms5043
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NANOCONFINAMENTO
Ricercatori italiani e statunitensi hanno sviluppato un modello che codifica le caratteristiche dell’acqua in prossimità di superfici solide alla nanoscala
06.04.2014
Testo dell’articolo
Nuotare in una piscina riempita di miele. Questa è la sensazione che deve “provare” una molecola di acqua entro pochi nanometri da una superficie solida, cioè quando si considerano distanze circa diecimila volte più piccole del diametro di un capello. Il fenomeno di riduzione di mobilità dell’acqua in prossimità di superfici alla nanoscala, già noto nella comunità scientifica come “nanoconfinamento”, è dovuto alle forze attrattive elettrostatiche e di van der Waals, predominanti a quelle scale.
I ricercatori del Politecnico di Torino e dello Houston Methodist Research Institute hanno però fatto un passo ulteriore: per la prima volta sono riusciti a dare un’interpretazione fisica e una quantificazione di questo fenomeno, tramite un modello che mette in relazione le caratteristiche geometriche, chimiche e fisiche di una qualsiasi superficie nanoconfinante (es. proteine, nanotubi di carbonio, nanopori di silice, nanoparticelle ferrose) alla proprietà di “supercooling” dell’acqua, ovvero ad uno stato simile a quello liquido che permane anche a temperature ben inferiori a 0° centigradi, nel caso in cui ci si trovi in prossimità di superfici alla nanoscala. Questo è il risultato a cui sono giunti, dopo più di due anni di ricerche ed esperimenti in silico (cioè al computer) ed in vitro (cioè in laboratorio), Eliodoro Chiavazzo, Matteo Fasano, Pietro Asinari (Multi-Scale Modelling Lab, Dipartimento Energia al Politecnico di Torino) e Paolo Decuzzi (Center for the Rational Design of Multifunctional Nanoconstructs dello Houston Methodist Research Institute).
Il rilievo della scoperta è dato dal suo immediato impatto nell’ottimizzazione e progettazione di tecnologie innovative in una vasta gamma di ambiti: dalla fisica tecnica (es. “nanofluidi” formati da acqua e nanoparticelle per lo scambio termico ad elevate prestazioni) all’energia sostenibile (es. batterie termiche che utilizzano acqua nanoadsorbita per accumulare calore); dal rilevamento e rimozione di inquinanti nell’acqua (es. mediante “nanofiltri” molecolari) alla nanomedicina.
Proprio la nanomedicina è il settore in cui la scoperta pubblicata su Nature Communications trova una prima applicazione. Ogni anno si stima che circa sessanta milioni di risonanze magnetiche siano effettuate a fini diagnostici. Nell’ultimo decennio questa tecnologia ha giovato dei notevoli progressi scientifici nel settore, che l’hanno resa sempre più precisa e nitida nella diagnosi di patologie di vario genere. Uno dei maggiori contributi nell’aumento di prestazioni della risonanza magnetica proviene dagli agenti di contrasto, sostanze che, se introdotte nel paziente, rendono maggiormente visibili i dettagli dei tessuti in cui tendono a depositarsi, aumentando così il contrasto dell’immagine ottenuta dallo scanner.
La ricerca in oggetto ha permesso di spiegare l’aumento di prestazioni degli agenti di contrasto che si basano sul nanoconfinamento dell’acqua, in fase di sviluppo e test in vivo presso lo Houston Methodist Research Institute, rispetto a quelli già presenti sul mercato. Tale ricerca pone le basi per progettare nuove soluzioni ad oggi inesplorate, ad esempio, per migliorare la qualità delle immagini ottenute tramite risonanza magnetica, offrendo quindi la potenzialità di diagnosi più accurate e precoci per milioni di pazienti ogni anno.
Sono già in fase evoluta e di prossima pubblicazione ulteriori ricerche, condotte da Paolo Decuzzi con un gruppo di ricerca più esteso e multidisciplinare di cui fa parte anche lo stesso team del Politecnico, che apre le porte alla possibilità di realizzare “nano-trasportatori” polimerici o di silicio contenenti agenti di contrasto ferrosi, non solo in grado di migliorare la nitidezza delle immagini da risonanza magnetica, ma allo stesso tempo di accumularsi specificatamente nella zona affetta da patologia, grazie alla guida magnetica esterna. Accumulo che rende poi possibile un rilascio controllato di agenti terapeutici oppure un trattamento ipertermico localizzato, offrendo così un approccio “teragnostico” alla lotta contro il cancro, cioè contemporaneamente terapeutico e diagnostico.
Testo redatto su fonte Politecnico di Torino del 4 aprile 2014
Per approfondimenti: Scaling behaviour for the water transport in nanoconfined geometries, DOI: 10.1038/ncomms4565 – Nature Communications | 03.04.2014
Image credit: Nature Communications
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NANOTECNOLOGIE
Per la prima volta, su un substrato di un semiconduttore, sono stati creati nanotunnel in cui sarà possibile “stivare” atomi e molecole a rilascio controllato
15.01.2014
Testo dell’articolo
Lo studio, condotto con ricercatori francesi del Commissariat à l’Energie Atomique (CEA) e di Soleil Synchrotron, coordinati da Patrick Soukiassian, e con il gruppo privato Materials Design di Erik Wimmer, è stato pubblicato su Nature Communications in “Hydrogen-induced nanotunnel opening within semiconductor subsurface“. “Il carburo di silicio, per le sue proprietà termomeccaniche, elettroniche, chimiche e strutturali si presta a una vasta gamma di applicazioni avanzate: dispositivi elettronici e sensori operanti ad alta potenza, frequenza o temperatura, applicazioni biomediche, ed è particolarmente adatto per la crescita del grafene”, spiega Mario Rocca, responsabile del laboratorio genovese. “Finora, la possibilità di modificare una superficie per ottenere cavità era stata testata solo sulla scala micrometrica, mai su quella, mille volte più piccola, dei nanometri”.
Il “salto” è stato realizzato facendo interagire il substrato con idrogeno o deuterio. “L’assorbimento di idrogeno/deuterio (H/D) sulla superficie crea dei “nanotunnel” con disposizione regolare, situati nella zona immediatamente sub-superficiale del carburo di silicio”, aggiunge Letizia Savio dell’IMEM-CNR. “L’effetto è stato dimostrato confrontando esperimenti di fotoemissione con luce di sincrotrone e di spettroscopia vibrazionale con modelli teorici. Lo spazio all’interno di questi nanotunnel è promettente soprattutto per lo stoccaggio di atomi o molecole che potrebbero essere rilasciati in maniera controllata”.
Comprendere e controllare il meccanismo prefigura quindi la possibilità di “adattare” selettivamente il materiale ad applicazioni avanzate in nanoelettronica, chimica, sensoristica e in nanomedicina: essendo biocompatibile, il carburo di silicio può infatti essere utilizzato per il rilascio localizzato di specie chimiche. Il lavoro è stato co-finanziato dalla Compagnia di San Paolo.
Testo redatto su fonte CNR del 15 gennaio 2014
Per approfondimenti: Hydrogen-induced nanotunnel opening within semiconductor subsurface, DOI: 10.1038/ncomms3800 – Nature Communications | 21.11.2013
Image credit: CNR
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RIERCA E INNOVAZIONE
Per una crescita intelligente e sostenibile l’UE promuove la Ricerca e l’Innovazione finanziando “Horizon 2020”, il nuovo Programma Quadro da 80 miliardi di euro
09.12.2013
Testo dell’articolo
“Horizon 2020” si pone l’obiettivo di affrontare direttamente le principali sfide sociali e le iniziative faro identificate nella Strategia Europa 2020, che ha individuato la ricerca e l’innovazione quali elementi centrali per perseguire gli obiettivi di una crescita sostenibile, intelligente e solidale. L’Unione ha in particolare l’obiettivo di rafforzare e sostenere le sue basi scientifiche e tecnologiche, conseguendo uno Spazio Europeo della Ricerca in cui i ricercatori, la conoscenza e la tecnologia possano circolare liberamente per produrre maggiore competitività. Nella nuova programmazione sarà data in effetti priorità a quelle aree e a quei progetti in cui la sovvenzione europea e la cooperazione offriranno un valore aggiunto.
Il nuovo programma “Horizon 2020” sarà centrato su tre obiettivi strategici (Excellent science, Industrial leadership, Societal challenges) a sostegno dell’intero spettro di attività di ricerca, sviluppo tecnologico, dimostrazione e innovazione, compresa la diffusione e l’ottimizzazione dei risultati:
EXCELLENT SCIENCE– Rafforzare l’eccellenza UE in campo scientifico a livello mondiale
Tale programma ha lo scopo di rafforzare e aumentare l’eccellenza della UE in campo scientifico e di consolidare l’Area di Ricerca Europea per rendere il sistema europeo di ricerca e innovazione maggiormente competitivo su scala globale.
INDUSTRIAL LEADERSHIP – Creare una leadership industriale, rafforzandone la competitività, sostenere l’innovazione e le industrie, comprese le PMI
Questo programma ha lo scopo di accelerare lo sviluppo tecnologico e l’innovazione alla base del business futuro e aiuterà le più innovative SME europee a trasformarsi in compagnie leader a livello mondiale. Inoltre sia le attività di accesso al credito che all’innovazione seguiranno una logica bottom-up e on-demand senza la predeterminazione delle priorità; mentre l’attività di leadership per l’avanzamento e per le tecnologie industriali seguirà un approccio guidato dalle tecnologie per uno sviluppo in aree dalle molteplici applicazioni nel settore industriale e dei servizi.
SOCIETAL CHALLENGES – Rispondere alle sfide identificate dalla strategia Europa 2020
Questo programma risponde direttamente alle priorità politiche identificate nella Strategia Europa 2020 e ha l’obiettivo di stimolare la massa critica degli sforzi di ricerca e innovazione per la realizzazione degli scopi politici della UE.
In particolare, nell’ambito delle NANOTECNOLOGIE, l’obiettivo di “Horizon 2020” è quello di di assicurare la leadership europea in questo mercato globale ad alta crescita, stimolando l’investimento nelle nanotecnologie e il loro utilizzo ad alto valore aggiunto nei prodotti competitivi e nei servizi attraverso un’ampia gamma di applicazioni e settori. Le attività prospettate sono le seguenti:
– sviluppo di nano materiali di ultima generazione, di nano dispositivi e di nano sistemi;
– assicurare lo sviluppo e l’applicazione sicura delle nanotecnologie;
– sviluppare la dimensione sociale delle nanotecnologie;
– sintesi efficace e produzione di nano materiali, componenti e sistemi;
– sviluppo di tecniche di potenziamento delle capacità, di metodi di misura e dell’equipaggiamento.
Nell’ambito dei MATERIALI AVANZATI invece lo scopo è lo sviluppo di materiali avanzati con nuove funzionalità e il miglioramento della performance per realizzare prodotti più competitivi che minimizzino l’impatto sull’ambiente e il consumo delle risorse. Si intende dedicare particolare attenzione a:
– l’applicazione trasversale delle tecnologie per i materiali;
– sviluppo e trasformazione dei materiali;
– gestione dei componenti dei materiali;
– materiali per l’industria sostenibile;
– materiali per le industrie creative;
– metrologia, caratterizzazione, standardizzazione e controllo della qualità;
– ottimizzazione dell’uso e/o della sostituzione di materiali.
Per approfondimenti: ec.europa.eu/programmes/horizon2020
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MICRO-ROBOTICA
Secondo un team di ricercatori della SISSA di Trieste, i robot miniaturizzati del futuro saranno “morbidi” e si muoveranno come gli organismi biologici
05.12.2013
Testo dell’articolo
De Simone e il suo team della SISSA studiano da anni il movimento degli euglenidi, animali unicellulari acquatici. Uno degli scopi delle ricerche di De Simone – che di recente hanno ricevuto un European Research Council Advanced Grant di 1.300.000 euro – è trasferire le conoscenze acquisite dagli euglenidi nella micro-robotica, un campo che rappresenta una promettente scommessa per il futuro. I microrobot potranno infatti svolgere una serie di funzioni importanti, per esempio per la salute umana, veicolando i farmaci direttamente dove sono necessari, riaprendo vasi sanguigni ostruiti, contribuendo alla chiusura delle ferite e molto altro.
Per fare questo i piccolissimi robot dovranno essere in grado di muoversi con efficienza. “Provate a immaginare di miniaturizzare un dispositivo costituito da leve e ingranaggi: non potrete scendere sotto a una certa dimensione limite. Imitando i tessuti biologici invece ci si può spingere fino alle dimensioni delle cellule, ed è proprio questa la direzione verso la quale la ricerca si sta orientando. Noi in particolare lavoriamo sul movimento e studiamo come certi organismi unicellulari molto efficienti nella locomozione si spostano”.
Nel loro studio De Simone e Arroyo hanno simulato euglenidi con forma e metodi di locomozione diversi, basati principalmente sulla deformazione e il rigonfiamento del corpo, descrivendone nel dettaglio la meccanica e le caratteristiche dello spostamento che si ottiene. “Il nostro lavoro non solo aiuta a comprendere i meccanismi di locomozione di questi animali unicellulari, ma offre agli ingegneri una base di conoscenze per progettare il sistema di locomozione dei futuri micro-robot”.
Il paper di De Simone e Arroyo è stato selezionato per l’edizione speciale di Journal of the Mechanics and Physics of Solids che festeggia i cinquant’anni di attività della prestigiosa rivista.
Testo redatto su fonte SISSA del 5 dicembre 2013
Per approfondimenti: Shape control of active surfaces inspired by the movement of euglenids, DOI: 10.1016/j.jmps.2013.09.017 – Journal of the Mechanics and Physics of Solids | 08.10.2013
Image credit: SISSA
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BIONANOTECNOLOGIE
Utilizzare il DNA per creare nanomolecole da usare come mattoni di materiali innovativi biocompatibili ed economici con caratteristiche e potenzialità diverse
21.11.2013
Testo dell’articolo
In un articolo recentemente pubblicato sulla rivista “Proceedings of the National Academy of Sciences” (PNAS) un team di ricercatori della Sapienza, coordinati da Francesco Sciortino, e dell’Università di Milano, guidati da Tommaso Bellini, con i finanziamenti del MIUR, ha dimostrato che, non solo è possibile costruire nanomolecole con il DNA, ma stabilendo la sequenza delle basi, si può intervenire sulla loro forma e sul modo con cui queste interagiscono tra loro.
“Negli anni passati – spiega Francesco Sciortino – gli scienziati si sono dedicati a comprendere la materia che ci circonda, le leggi della meccanica quantistica che regolano le interazioni tra gli atomi e le molecole. Oggi gli scienziati sono impegnati a costruire nuove molecole”.
Ma come avviene questo processo? Le nuove molecole sono state sintetizzate per produrre, su nanoscala, strutture a forma di stella con un numero predefinito di bracci. Mentre il centro della stella è formato da DNA a doppia elica, inerte, i bracci sono formati da singole eliche che possono appaiarsi con i bracci delle stelle vicine. I ricercatori sono in grado così controllare l’aggregazione di queste stelle che, come gli atomi o le molecole, possono dare vita a stati gassosi, liquidi o cristallini ma a temperatura e densità definite.
Lo studio ha dimostrato come queste stelle riescano a formare un gel completamente costituito da DNA e acqua, un materiale nuovo, altamente biocompatibile, che può essere utilizzato come matrice per il trasporto di farmaci, come nano-fabbrica per la espressione di proteine (codificate dal DNA scelto), come materiale con proprietà elastiche controllabili con la temperatura. Questo primo lavoro ha confermato che è possibile ingegnerizzare nanomolecole e fare in modo che spontaneamente si aggreghino nella maniera voluta. “Costruire con il DNA apre immensi orizzonti per la scienza dei materiali, limitati solo dalla nostra immaginazione”, conclude Sciortino.
Testo redatto su fonte Università La Sapienza di Roma
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